lunedì 14 marzo 2016

Motherhood


 Motherhood trovo sia una parola molto bella che racchiude in sè le gioie ed i dolori del giovane Werther dell'essere madre.
La trovo più onnicomprensiva del corrispettivo italiano "maternità" che mi rimanda, più che altro, al congendo di maternità obbligatorio.
La tradurrei con mammitudine, piuttosto, e per spiegarla la riempirei di baci appiccicosi, di nasi che si strofinano anche se col moccio che tanto è roba tua, di manine paffute che cercano la mia bocca non so per quale incomprensibile meccanismo anti-stress e che mi costringono ad un certo punto a dire "Adesso basta! Mi fai male", vederle indietreggiare titubanti per qualche istante e poi ritrovarmele ancora esattamente dov'erano prima. 
La mammitudine inizia nel momento in cui capisci che non hai una gastroenterite e, da lì, ce l'hai per sempre.
Da quel momento in poi la tua vita cambia, non ci sei più solo tu, il tu ormai è diventato un noi indissolubile, imprescindibile, inossidabile, intoccabile ed inattaccabile. E' dura, è pesante, è preoccupante, è stancante ma ti ripaga sempre di tutte le fatiche: con un abbraccio, con un "mamma" detto al momento giusto, con il respiro che si fa più profondo quando si addormentano, con un bel voto a scuola, con una rincorsa fatta per saltarti in braccio e con tutto quell'amore che sai durerà per sempre.